Donne e manager. La leva dell’economia
Può “misurarsi” lo stato di salute di una democrazia? Con le donne è possibile. Una maggiore presenza di donne nei luoghi decisionali della politica e dell’economia rende più vicino l’obiettivo della parità democratica, intesa come eguale distribuzione dei poteri tra donne e uomini. La conferma è data dall’attuale configurazione del Parlamento e delle Giunte Regionali della Lombardia e del Lazio nonché dal processo di rinnovo dei Consigli di amministrazione delle società quotate e di quelle in mano pubblica. E che su questo tema anche i numeri contino lo scriveva nel 1988 Drude Dahlerup fondando la teoria della massa critica: occorre una data soglia numerica entro gli organismi politici ed economici affinchè la componente femminile possa incidere sui processi decisionali e contribuire ad una rappresentanza, come donne e per le donne, in senso sostanziale. Ovviamente la Dahlerup pensava a donne consapevoli, competenti e soprattutto indipendenti: in altre parole pensava all’empowerment. Alla Conferenza Mondiale ONU tenutasi a Pechino nel 1995 la massa critica e le azioni positive, intese come misure specifiche di promozione e sostegno, vengono individuate come strategie verso la parità democratica e l’eguaglianza di genere, modello di riforme in tutto il mondo. La consapevolezza, a quel punto, è che bisogna superare le barriere costituite da reti informali e da strutture plurimillenarie di dominio maschile che impediscono alle donne di partecipare alla pari alla vita economica, politica e sociale. La prospettiva allora non può che essere trasversale e di sistema. L’Europa, che soffre di un certo complesso di democraticità nella propria governance, sancisce tali principi inserendoli nella Carta dei Diritti Fondamentali e attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia individua nella presenza di un genere al di sotto del 50% un problema di sottorappresentanza. All’interno delle Istituzioni Europee si avvia negli ultimi anni un convinto processo di riequilibrio anche nelle posizioni strategiche.
In Italia, nel 2003 le riforme degli artt. 51 e 117 della Costituzione rendono legittime le azioni positive, accelerando il processo di democratizzazione nei settori pubblici e privati. Varie sono le strategie per il riequilibrio, a seconda degli ambiti di intervento. Tra queste, il meccanismo elettorale della doppia preferenza di genere, che nasce dall’ esperienza della legislazione regionale campana, con il via libera della Consulta, fino a confluire nella recente legge 215/2012 sull’elezione dei consigli comunali. Le prossime elezioni amministrative saranno il primo banco di prova della riforma: elettori ed elettrici potranno dare una seconda preferenza per un candidato dell‘altro sesso. La libertà di voto è garantita e le donne candidate avranno più chances di essere elette. Si dovrà però vigilare sulla corretta applicazione della par condicio di genere in campagna elettorale. La norma c’è, i monitoraggi e la cultura meno: lo si è visto nel corso delle scorse elezioni politiche. Rai e AGCOM vigilino, dunque. Altra storia è quella delle Giunte: i giudici hanno chiarito l’obbligatorietà e l’effettività della parità democratica e molte sono state le giunte regionali e comunali azzerate per assenza o scarsa presenza di donne, non da ultimo quella di Roma Capitale. Con numeri esigui di rappresentanza femminile, Sindaci e Presidenti di Regione debbono dimostrare di aver rispettato le pari opportunità nelle candidature e la trasparenza nella selezione. Ed il recente suggerimento del Tar Lazio, che con la sentenza 633/2013 si allinea agli standards europei, è di attenersi, almeno in via indicativa, intorno alla soglia del 40%, per garantire la massa critica e avvicinarsi il più possibile alla parità. Di “quote di genere” si tratta invece nel caso della composizione delle Commissioni di concorso pubblico: almeno un terzo dei componenti deve essere costituito da donne, e dei Consigli di amministrazione societari. In applicazione della legge n. 120/2011, più nota come legge Golfo Mosca, le società costituite in Italia quotate in borsa e quelle non quotate ma controllate da pubbliche amministrazioni dovranno prevedere nei propri statuti che la nomina entro i consigli di amministrazione e gli organi di controllo garantisca la presenza di almeno un terzo del genere meno rappresentato. Il criterio si applica gradatamente nel tempo (dal 20% al 33%) e solo per tre mandati consecutivi. Azione positiva e temporanea dunque, fino al naturale riequilibrio che si stima arriverà nel 2020. Monitoraggio e vigilanza spettano alla Consob, per le quotate, e al Dipartimento delle Pari Opportunità per le società a controllo pubblico. Il rischio più grave, in caso di mancato rispetto delle quote, è di veder decaduti gli organi.
Qual è allora il primo bilancio? Gli studi di genere in campo politico ed economico testimoniano una minore propensione al rischio e alla corruzione da parte delle donne e più collegialità e precisione nel metodo di lavoro. Al di là delle facili semplificazioni, certamente le donne nei luoghi strategici delle scelte politiche ed economiche, selezionate con criteri meritocratici e trasparenti porteranno il doppio sguardo, nuove sensibilità, valori e professionalità. Un contributo ad una rappresentanza più compiuta e democratica. I numeri contano, dunque, ma non solo.
Antonella Anselmo
Comitato Se Non Ora Quando
Tag: art 51, articolo 51, Associazioni, Cambiamento, cariche elettive, costituzione italiana, elezioni politiche, Elezioni regionali 2013, Europa, istituzioni europee, Italia, massa critica, parità di accesso, parità uomo donna, regione lazio, regione lombardi
3 luglio 2013 alle 4:06 PM |
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